Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, scaturente da una condotta riportabile alla c.d. violenza assistita, proprio perché fondato su di una relazione non diretta, ma indiretta fra il comportamento dell’agente e la vittima – essendo l’azione rivolta a colpire non il minore, ma altri ovvero, come nella specie, connotandosi per la reciprocità delle offese fra i genitori, postula una prova rigorosa che l’agire – in ipotesi – illecito, per un verso, sia connotato dalla c.d. abitualità; per altro verso, sia idoneo ad offendere il bene giuridico protetto dall’incriminazione, id est abbia cagionato – secondo un rapporto di causa-effetto – uno stato di sofferenza di natura psìco- fisica nei minori spettatori passivi (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 2 maggio 2018, n. 18833).
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